mercoledì 2 dicembre 2009

Plinio il Giovane eruzione del Vesuvio ( Plinio Il Vecchio)

Egli si trovava dunque a Misene, in qualità di comandante della. flotta. Il nono giorno innanzi le calende di Settembre [24 Agosto 79], verso la settima ora (circa luna dopo pranzo) mia madre l'avvertì che si vedeva una nuvola di dimensioni e di aspetto straordinari. Lo zio, che aveva fatto il suo bagno di sole prima e poi d'acqua fredda, e, dopo aver pranzato, si era messo al lavoro, chiese allora i suoi sandali e salì in un luogo dal quale poter meglio osservare questo fenomeno prodigioso. La nuvola s'innalzava da una montagna, che si seppe poi essere il Vesuvio, avendo quasi la forma di un pino marittimo; che proiettata nell'aria come un tronco immenso, si spandeva poi in alto in rami. Io credo che, sollevata da un violento soffio, che poi s'indeboliva e l'abbandonava, ovvero vinta dal suo stesso peso, essa si disperdeva in larghezza: ora bianca, ora scura a macchie, a seconda. che era costituita di terra o cenere.

Poiché si trattava di uno spettacolo grandioso, degno, per uno scienziato, di essere esaminato da vicino, lo zio fece preparare una delle sue navi leggere e mi offerse di accompagnarlo, qualora lo desiderassi. Io risposi che preferivo lavorare, avendo appunto a sbrigare una cosa da lui affidatami. Mentre egli usciva di casa ricevette un biglietto di Rectina, moglie di Cesio Basso, la quale, spaventata per l'imminenza del pericolo (che la sua villa era situata ai piedi della montagna, cosicché non era possibile abbandonarla se non per mare), lo supplicava di strapparla al flagello che la minacciava. Lo zio allora decise di fare per amicizia ciò che aveva dapprima vagheggiato per curiosità scientifica.
Fatte venire delle quadriremi, vi salì per andare in soccorso di Rectina e di molti altri, essendo quella costa incantevole molto popolata. Egli si affretta verso i luoghi donde gli altri fuggivano, orientando il timone così da dirigere la corsa direttamente verso il luogo del pericolo, talmente libero da timore che tutte le fasi del flagello, tutti gli aspetti mutevoli da lui osservati, le detta o le annota egli stesso. Già le ceneri cadevano sulla nave, più calde e più dense man mano che essa si avvicinava, e con quelle delle pietre pomici, dei sassi neri, infuocati, scoppianti per effetto del calore. Il mare che si ritirava non aveva più sufficiente profondità; rocce staccatesi dalla montagna rendevano la costa inaccessibile. Mio zio pensò un momento di retrocedere ed il suo pilota lo incoraggiava; ma poi mutò parere. ''La fortuna, disse, aiuta gli audaci: dirigi verso la casa di Pomponiano".

Questo Pomponiano abitava a Stabia, dove il pericolo non era ancora imminente, pur tuttavia formidabile e prossimo, poiché avanzava ad ogni momento. Pomponiano aveva caricati tutti i suoi mobili su navi, deciso a fuggire non appena fosse stato possibile. Mio zio lo trovò tutto tremante; l'abbracciò, lo consolò, l'incoraggiò e, per convincerlo della propria tranquillità, si fece portare al bagno. Poi si mise a tavola e mangiò allegramente e, ciò che non è meno grande, dando a credere di essere allegro.

Frattanto su parecchi punti del monte Vesuvio si vedevano brillare larghe fiamme e vaste chiazze infuocate, di cui la notte aumentava lo splendore e la luminosità. Mio zio, per calmare i timori dei suoi compagni, ripeteva loro che si doveva trattare di case di campagna, già abbandonate dagli abitanti, che bruciavano nella solitudine. Poi si mise a letto e si addormentò di un vero sonno, poiché coloro che stavano presso la porta della sua camera sentivano la sua respirazione forte e sonora, propria di persona corpulenta qual egli era. Frattanto il peristilio su cui si apriva la sua camera si colmava di ceneri e di pomici, le quali s'innalzavano, così che di lì a poco l'uscita sarebbe stata impossibile. Pertanto egli fu svegliato ed uscì a raggiungere Pomponiano e gli altri che non erano andati a letto. Fu tenuto consiglio: era meglio restare nella casa o errare per la campagna? Le case, agitate da frequenti e lunghe scosse, e come strappate dalle loro fondamenta, s'inclinavano a destra ed a sinistra, minacciando di cadere; fuori c'era da temere la caduta di pietre pomici.

Fra i due pericoli si sceglie il secondo, mio zio attenendosi al partito giudicato migliore, gli altri lasciando un timore per un altro; e così escono tutti, formandosi con dei panni un cuscino sulla testa, per proteggersi dalla pioggia di pietre. Altrove era spuntato il giorno, ma ivi era la notte più nera, più fitta, che si cercava vincere con numerose torce e lumi d'ogni genere. Si ritorna verso la riva, per vedere se il mare permettesse qualche tentativo di fuga; ma esso era ancora agitato. Ivi mio zio si coricò su un lenzuolo steso in terra, poi due volte domandò dell'acqua fresca e ne bevve. Ben presto delle fiamme e l'odore di zolfo, che le preannunzia misero tutti in fuga, costringendo anche lo zio ad alzarsi. Sorretto da due giovani schiavi, si rizzò in piedi e poi subito cadde morto. Io suppongo che il fitto fumo gli togliesse il respiro, chiudendo le sue vie respiratorie, che erano in lui naturalmente deboli e strette, cosicché spesso soffriva d'asma. Quando tre giorni dopo la luce riapparve, il suo corpo fu ritrovato intatto, senza ferite, senza che nulla avesse nemmeno scomposte .

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