domenica 27 settembre 2009

Che cos’è l’Illuminismo


Immanuel Kant ( Testo Integrale )

L' illuminismo é l' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve
imputare a se stesso. Minorità é l' incapacità di servirsi del proprio
intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi é questa minorità
se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di
decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati
da un altro. Sapere aude ! Abbi il coraggio di servirti della tua propria
intelligenza ! - é dunque il motto dell' illuminismo. La pigrizia e la viltà
sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da
lungo tempo affrancati dall' eterodistinzione ( naturaliter maiorennes ),
tuttavia rimangono volentieri minorenni per l' intera vita; e per cui riesce
tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. E' tanto comodo essere minorenni
! Se ho un libro che pensa per me,un direttore spirituale che ha coscienza per
me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene, ecc., io non ho più
bisogno di darmi pensiero da me. Purchè io sia in grado di pagare, non ho
bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. A far
sì che la stragrande maggioranza degli uomini ( e con essi tutto il bel sesso )
ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, oltrechè difficile, anche molto
pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza
l' alta sorveglianza sopra costoro. Dopo averli in un primo tempo istupiditi
come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste
pacifiche creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui
le hanno imprigionate, in un secondo tempo mostrano ad esse il pericolo che le
minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora questo pericolo non é poi
così grande come loro si fa credere , poichè a prezzo di qualche caduta essi
alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo genere rende
comunque paurosi e di solito distoglie la gente da ogni ulteriore tentativo. E'
dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla minorità che per lui é
diventata pressochè una seconda natura. E' giunto perfino ad amarla, e
attualmente é davvero incapace di servirsi del suo proprio intelletto, non
essendogli mai stato consentito di metterlo alla prova. Regole e formule, questi
strumenti meccanici di un uso razionale o piuttosto di un abuso delle sue
disposizioni naturali, sono i ceppi di una eterna minorità. Anche chi da essi
riuscisse a sciogliersi, non farebbe che un salto malsicuro sia pure sopra i più
angusti fossati, poichè non sarebbe allenato a siffatti liberi movimenti. Quindi
solo pochi sono riusciti, con l' educazione del proprio spirito, a districarsi
dalla minorità e tuttavia a camminare con passo sicuro. Che invece un pubblico
si illumini da sè é cosa maggiormente possibile; e anzi, se gli si lascia la
libertà, é quasi inevitabile. In tal caso infatti si troveranno sempre, perfino
fra i tutori ufficiali della grande folla, alcuni liberi pensatori che, dopo
aver scosso da sè il giogo della tutela, diffonderanno il sentimento della stima
razionale del proprio valore e della vocazione di ogni uomo a pensare da sè. V'
é a riguardo il fenomeno singolare che il pubblico, il quale in un primo tempo é
stato posto da costoro sotto quel giogo, li obbliga poi esso stesso a rimanervi,
non appena abbiano a ciò istigato quelli tra i suoi tutori che fossero essi
stessi incapaci di ogni lume. Seminare pregiudizi é tanto pericoloso, proprio
perchè essi finiscono per ricadere sui loro autori o sui predecessori dei loro
autori. Perciò il pubblico può giungere al rischiaramento solo lentamente. Forse
una rivoluzione potrà sì determinare l' affrancamento da un dispotismo personale
e da un' oppressione avida di guadagno o di potere, ma mai una vera riforma del
modo di pensare. Al contrario: nuovi pregiudizi serviranno al pari dei vecchi a
mettere le dande alla gran folla di coloro che non pensano. Senonchè a questo
rischiaramento non occorre altro che la libertà ; e precisamente la più
inoffensiva di tutte le libertà , qyella cioè di fare pubblico uso della propria
ragione in tutti i campi . Ma da tutte le parti odo gridare : ma non ragionate !
L' ufficiale dice : non ragionate , ma fate esercitazioni militari ! L'
intendente di finanza : non raginate , ma pagate ! L' ecclesiastico : non
ragionate , ma credete ! (C' è solo un unico signore al mondo che dice :
ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete , ma obbedite !) Qui v' è ,
dovunque , limitazione della libertà ! Ma quale limitazione è d' ostacolo all'
illuminismo , e quale non lo è , anzi lo favorisce ? Io rispondo : il pubblico
uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo , ed esso solo può
attuare il rischiaramento tra gli uomini ; invece l' uso privato della ragione
può assai di frequente subire strette limitazioni senza che il progresso del
rischiaramento ne venga particolarmente ostacolato . Intendo per uso pubblico
della propria ragione l' uso che uno ne fa, come studioso , davanti all' intero
pubblico dei lettori . Chiamo invece uso privato della ragione quello che ad un
uomo è lecito farne in un certo ufficio o funzione civile di cui egli è
investito . Ora per molte operazioni che attengono all' interesse della comunità
è necessario un certo meccanismo , per cui alcuni membri di essa devono
comportarsi in modo puramente passivo onde mediante un' armonia artificiale il
governo induca costoro a concorrere ai fini comuni o almeno a non contrastarli .
Qui ovviamente non è consentito ragionare , ma si deve obbedire . Ma in quanto
nello stesso tempo questi membri della macchina governativa considerano se
stessi come membri di tutta la comunità e anzi della società cosmopolitica , e
si trovano quindi nella qualità di studiosi che con gli scritti si rivolgono a
un pubblico nel senso proprio della parola , essi possono certamente ragionare
senza ledere con ciò l'attività cui sono adibiti come membri parzialmente
passivi . Così sarebbe assai pernicioso che un ufficiale , cui fu dato un ordine
dal suo superiore , volesse in servizio pubblicamente ragionare sull'
opportunità e utilità di questo ordine : egli deve obbedire . Ma è iniquo
impedirgli in qualità di studioso di fare le sue osservazioni sugli errori
commessi nelle operazioni di guerra e di sottoporle al giudizio del suo pubblico
. Il cittadino non può rifiutarsi di pagare i tributi che gli sono imposti ; e
un biasimo inopportuno di tali imposizioni , quando devono essere da lui
eseguite , può anzi venir punito come uno scandalo (poichè potrebbe indurre a
disubbidienze generali) . Tuttavia costui non agisce contro il dovere del
cittadino se , come studioso manifesta apertamente il suo pensiero sulla
sconvenienza o anche sull' ingiustizia di queste imposizioni . Così un
ecclesiastico é tenuto a insegnare il catechismo agli allievi e alla sua
comunità religiosa secondo il credo della Chiesa da cui dipende , perchè a
questa condizione egli é stato assunto : ma come studioso egli ha piena libertà
e anzi il compito di comunicare al pubblico tutti i pensieri che un esame severo
e benintenzionato gli ha suggerito circa i difetti di quel credo , nonchè le sue
proposte di riforma della religione e della Chiesa . In ciò non v' é nulla di
cui la coscienza possa venir incolpata . Ciò che egli insegna in conseguenza del
suo ufficio , come funzionario della Chiesa , egli infatti lo espone come
qualcosa intorno a cui non ha libertà di insegnare secondo le sue proprie idee ,
ma che ha il compito di insegnare secondo le istruzioni e nel nome di un altro .
Egli dirà : la nostra Chiesa insegna questo e quello , e queste sono le prove di
cui essa si vale . Tutta l' utilità pratica che alla sua comunità religiosa può
derivare , egli dunque la ricaverà da principi che egli stesso non
sottoscriverebbe con piena convinzione , ma al cui insegnamento può comunque
impegnarsi perchè non é affatto impossibile che in essi non si celi qualche
velata verità , e in ogni caso , almeno , non si riscontra in essi nulla che
contraddica alla religione interiore . Se invece credesse di trovarvi qualcosa
che vi contraddica , egli non potrebbe esercitare la sua funzione con coscienza
; dovrebbe dimettersi . L' uso che un insegnante ufficiale fa della propria
ragione davanti alla sua comunità religiosa é dunque solo un uso privato ; e ciò
perchè quella comunità , per quanto grande sia , é sempre soltanto una riunione
domestica ; e sotto questo rapporto egli , come prete , non é libero e non può
neppure esserlo , poichè esegue un incarico che gli viene da altri . Invece come
studioso che parla con gli scritti al pubblico propriamente detto , cioè al
mondo , dunque come ecclesiastico nell' uso pubblico della propria ragione ,
egli gode di una libertà illimitata di valersi della propria ragione e di
parlare in persona propria . Che i tutori del popolo ( nelle cose spirituali )
debbano a loro volta rimanere sempre minorenni , é un' assurdità che tende a
perpetuare le assurdità . Ma una società di ecclesiastici , ad esempio un'
assemblea chiesastica o una venerabile "classe" (come essa si autodefinisce
presso gli olandesi), avrebbe forse il diritto di obbligarsi per giuramento a un
certo credo religioso immutabile , per esercitare in tal modo sopra ciascuno dei
suoi membri , e attraverso essi sul popolo , una tutela continua , e addiritura
per rendere eterna questa tutela ? Io dico che ciò è affatto impossibile . Un
tale contratto , teso a tener lontana l' umanità per sempre da ogni progresso
nel rischiaramento , è irrito e nullo in maniera assoluta , foss' anche che a
sancirlo siano stati il potere sovrano , le Diete imperiali e i più solenni
trattati di pace . Nessuna epoca può collettivamente impegnarsi con giuramento a
porre l' epoca successiva in una condizione che la metta nell' impossibilità di
estendere le sue conoscenze (soprattutto se tanto necessarie) , di liberarsi
dagli errori e in generale di progredire nel rischiaramento . Ciò sarebbe un
crimine contro la natura umana , la cui originaria destinazione consiste proprio
in questo progredire ; e quindi le generazioni successive sono perfettamente
legittimate a respingere quelle convenzioni come non autorizzate ed empie . La
pietra di paragone di tutto ciò che può imporsi come legge a un popolo stà nel
quesito se un popolo possa imporre a se stesso una tale legge . Ciò sarebbe sì
una cosa possibile , per così dire in attesa di una legge migliore e per un
breve tempo determinato , al fine di introdurre un certo ordine , ma purchè nel
frattempo si lasci libero ogni cittadino , soprattutto l' uomo di Chiesa , di
fare sui difetti dell' istituzione vigente le sue osservazioni pubblicamente ,
nella sua qualità di studioso , cioè mediante i suoi scritti ; e ciò mentre l'
ordinamento costituito resterà pur sempre in vigore fino a che le nuvole vedute
in questa materia non abbiano raggiunto nel pubblico tanta diffusione e credito
che i cittadini , con l' unione dei loro voti (anche se non di tutti) , siano in
grado di presentare al vostro sovrano una proposta tesa a proteggere quelle
comunità che fossero d' accordo per un mutamento in meglio della costituzione
religiosa secondo le loro idee , e senza pregiudizio per quelle comunità che
invece intendessero rimanere nell'antica costituzione . Ma concertarsi per
mantenere in vigore , foss' anche per la sola durata della vita di un uomo , una
costituzione religiosa immutabile che nessuno possa pubblicamente porre in
dubbio , e con ciò annullare per così dire una fase cronologica del cammino
dell' umanità verso il suo miglioramento e rendere questa fase sterile e per ciò
stesso forse addirittura dannosa alla posterità , e questo non è assolutamente
lecito . Un uomo può sì per la propria persona , e anche in tal caso solo per un
certo tempo , differire di illuminarsi su ciò che egli stesso è tenuto a sapere
; ma rinunciarvi per sé e più ancora per la posterità , significa violare e
calpestare i sacri diritti dell' umanità . Ora ciò che neppure un popolo può
decidere circa se stesso , lo può ancora meno un monarca circa il popolo ,
infatti il suo prestigio legislativo si fonda precisamente sul fatto che nella
sua volontà egli riassume la volontà generale del popolo . Purchè egli badi che
ogni vero o presunto miglioramento non contrasti con l' ordinamento civile ,
egli non può per il resto che lasciare i suoi sudditi liberi di fare quel che
credono necessario per la salvezza della loro anima . Cio' non lo riguarda
affatto , mentre quel che lo riguarda è di impedire che l' uno ostacoli con la
violenza l' altro nell' attività che costui , con tutti i mezzi che sono in suo
potere , esercita in vista dei propri fini e per soddisfare le proprie esigenze
. Il monarca reca detrimento alla sua stessa maestà se si immischia in queste
cose ritenendo che gli scritti nei quali i suoi sudditi mettono in chiaro le
loro idee siano passibili di controllo da parte del governo : sia ch' egli
faccia ciò invocando il proprio intervento autocratico ed esponendosi al
rimprovero che Caesar non est supra grammaticos , sia , e a maggior ragione , se
egli abbassa il suo potere supremo tanto da sostenere il dispotismo spirituale
di qualche tiranno nel suo Stato contro tutti gli altri suoi sudditi . Se ora si
domanda : viviamo noi attualmente in un' età illuminata ? allora la risposta é :
no , bensì in un' età di illuminismo . Che nella situazione attuale gli uomini
presi in massa siano già in grado , o anche solo possano essere posti in grado
di valersi sicuramente e bene del loro proprio intelletto nelle cose della
religione , senza la guida d' altri , é una condizione da cui siamo ancora molto
lontani . Ma che ad essi , adesso , sia comunque aperto il campo per lavorare ed
emanciparsi verso tale stato , e che gli ostacoli alla diffusione del generale
rischiaramento o all' uscita dalla minorità a loro stessi imputabile a poco a
poco diminuiscano , di ciò noi abbiamo invece segni evidenti . A tale riguardo
quest' età é l' età dell' illuminismo , o il secolo di Federico . Un principe
che non crede indegno di sè dire che considera suo dovere non prescrivere nulla
agli uomini nelle cose di religione , ma lasciare loro in ciò piena libertà , e
che quindi respinge da sè anche il nome orgoglioso della tolleranza , é egli
stesso illuminato e merita dal mondo e dalla posterità riconoscenti di esser
lodato come colui che per primo emancipò il genere umano dalla minorità , almeno
da parte del governo , e lasciò libero ognuno di valersi della sua propria
ragione in tutto ciò che é affare di coscienza . Sotto di lui venerandi
ecclesiastici , senza pregiudizio del loro dovere d' ufficio , possono
liberamente e pubblicamente , in qualità di studiosi , sottoporre all' esame del
mondo i loro giudizi e le loro vedute che qua e là deviano dal credo
tradizionale ; e tanto più può farlo chiunque non é limitato da un dovere d'
ufficio . Questo spirito di libertà si estende anche verso l' esterno , perfino
là dove esso deve lottare contro ostacoli esteriori suscitati da un governo che
fraintende se stesso . Il governo infatti ha comunque davanti agli occhi un
fulgido esempio che mostra che nulla la pace pubblica e la concordia della
comunità hanno da temere dalla libertà . Gli uomini si adoperano da sè per
uscire a poco a poco dalla barbarie , purchè non si ricorra ad artificiosi
strumenti per mantenerli in essa . Ho posto particolarmente nelle cose di
religione il punto culminante del rischiaramento , cioè dall' uscita dell' uomo
dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso ; riguardo alle arti
e alle scienze , infatti , i nostri reggitori non hanno alcun interesse a
esercitare la tutela sopra i loro sudditi . Inoltre la minorità in cose di
religione é fra tutte le forme di minorità la più dannosa ed anche la più
umiliante . Ma il modo di pensare di un sovrano che favorisce quel tipo di
rischiaramento va ancora oltre , poichè egli vede che perfino nei riguardi della
legislazione da lui statuita non si corre pericolo a permettere ai sudditi da
fare uso pubblico della loro ragione e di esporre pubblicamente al mondo le loro
idee sopra un migliore assetto della legislazione stessa , perfino criticando
apertamente quella esistente . Abbiamo in ciò un fulgido esempio , e anche in
ciò nessun monarca ha superato quello che noi veneriamo . Ma é pur vero che solo
chi , illuminato egli stesso , non ha paura delle ombre e contemporaneamente
dispone a garanzia della pubblica pace di un esercito numeroso e ben
disciplinato , può enunciare ciò che invece una repubblica non può arrischiarsi
a dire : ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete ; solamente obbedite
! Si rivela qui uno strano inatteso corso delle cose umane ; come del resto
anche in altri casi , a considerare questo corso in grande , quasi tutto in esso
appare paradossale . Un maggiore grado di libertà civile sembra favorevole alla
libertà dello spirito del popolo , epperò pone ad essa limiti invalicabili ; un
grado minore di libertà civile , al contrario , offre allo spirito lo spazio per
svilupparsi con tutte le sue forze . Se dunque la natura ha sviluppato sotto
questo duro involucro il germe di cui essa prende la più tenera cura , cioè la
tendenza e vocazione al libero pensiero , questa tendenza e vocazione
gradualmente reagisce sul modo di sentire del popolo ( per cui questo , a poco a
poco , diventa sempre più capace della libertà di agire ) , e alla fine
addirittura sui principi del governo il quale trova che é nel proprio vantaggio
trattare l' uomo , che ormai é più che una macchina , in modo conforme alla di
lui dignità .
Königsberg in Prussia , 30 settembre 1784



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